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Ipse dixit. Ma ipse chi? | Usi e fortune dell’oracolo in azienda
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Ipse dixit. Ma ipse chi? | Usi e fortune dell’oracolo in azienda

Ipse dixit. Ma ipse chi? | Usi e fortune dell’oracolo in azienda

Oct 22, 2019 19 Commenti

philosophia.sum | tutto un altro pensare è la sezione del blog curata da Alberto Trentin che ci accompagna, con un nuovo articolo, a spasso per quest'immaginaria azienda filosofica che muove le fila del pensiero di Ergo Sum.

 

Quando il pappagallo diceva «Nosce te ipsum»
la cornacchia rispondeva «Fate furb», «fatti furbo» [1] .

 

In tutte le aziende del mondo girano tra i vari dipartimenti frasi che hanno nel tempo assunto un’aura di sacralità, di cui si fatica a riconoscere un autore e che vengono citate con variabile frequenza ma con intenzione quasi taumaturgica. A volte nascono per gioco, magari verso il termine di una festa aziendale organizzata con sagacia da quei mattacchioni delle risorse umane che hanno giocato d’improvviso la carta del free-bar. Logico allora che i freni si allentino e che ognuno, tra un’imitazione dell’irsuto capufficio – già andato via perché domattina io alle sei…, e fate presto anche voi! e attenti per strada, e c’ho Hitler a casa che mi aspetta – e una partita di amarcord all’ultimo rilancio, se ne esca con invenzioni più o meno felici, alcune delle quali riescono a vincere l’oblio dell’hangover e piano piano si diffondono tra una scrivania e l’altra, finanche nei peggiori istanti di picco glicemico post-prandiale.

Sono motti, e più che allo slogan vanno ricondotte alla forma oracolare.

Lo stesso dev’essere accaduto in qualche parte della penisola attica ai tempi del tanto tanto tempo fa, quando un dio (Apollo, e chi se no?), un saggio (Talete è, tra i sette, quello che esce meglio agli exit-poll), o una donna in stato d’alterazione (AKA Pizia), se ne uscì con una delle frasi più famose tra quelle che circolano nella nostra azienda filosofica: “Conosci te stesso”.

Va detto che quelli del Marketing non hanno posto troppo tempo prima di appropriarsi di questa frase, celando più o meno abilmente l’istintiva invidia provata nei confronti dell’anonimo creatore capace di inventarsi una frase rispettosa dell’aurea regola dell’arte del payoff moderno: i migliori slogan hanno tre parole. Bontà delle traduzioni, direte voi, ma si sa che i Greci antichi avevano una sorta di repulsione per il commercio e, in genere, per il lavoro.

Non è certo unica la nostra azienda ad aver coniato motti dal sapore gnoseologico, ma non c’è chi non veda come il suddetto stacchi di gran lunga quelli della concorrenza, dal giullaresco “ti conosco mascherina”, al rurale e materno “conosco bene i miei polli”, al quasi proverbiale “so bene di che gamba vai zoppo”.

Tant’è che con un pizzico di vanagloria, il direttore commerciale ha insistito perché fosse incisa a colpi di scalpello sopra ogni porta d’ingresso ai vari locali dell’azienda e non mancano, ad ogni meeting annuale, penne a sfera, magliette, chiavette usb, borracce e altri imperdibili gadget in cui la frase riluce cubitale, ieratica. Non sono mancate, per altro, alcune partecipazioni a programmi televisivi dove, spesso in notturna, ma a volte guadagnando la preziosa fascia serale, alcuni agenti hanno portato al grande pubblico la forza misteriosa e persuasiva dell’eccellente oracolo filosofico, che in seguito è stato udito in contesti anche davvero inaspettati. Pare che un rivenditore di cibo surgelato ne facesse gran uso per convincere le vecchiette immobili davanti al cassone refrigerato, indecise tra la busta di zuppa contadina e quella rustica.

Se vi capitasse di partecipare a una delle visite che ogni tanto l’ufficio relazioni col pubblico organizza nelle nostre sedi, potreste chiedere di farvi condurre anche in archivio. Tutto è stato digitalizzato, certo, ma il locale archivio è rimasto, apertamente come memoria del tempo passato, su cui magari farsi qualche risata, più segretamente per l’intima convinzione che la tecnologia è un bene, ma non si sa mai. Lì, tra gli scaffali impolverati, alla sezione studi e ricerche, potreste farvi mostrare alcuni incartamenti frutto delle ricerche di uno dei pochi dipendenti del dipartimento Pensiero critico, dove si legge [2] :

SOCRATE: Rifletti anche tu: se essa, nel consigliare il nostro occhio come se fosse un uomo, dicesse: «guarda te stesso», come dovremmo intendere tale esortazione? Non sarebbe nel senso di mirare a ciò in cui l’occhio, guardando, vedrebbe se stesso?
ALCIBIADE: è chiaro.
[…]
SOCRATE: Non hai notato, allora, che il volto di chi guarda nell’occhio appare riflesso, come in uno specchio, nella parte dell’occhio di chi si trova di fronte, che chiamiamo anche pupilla, dato che è un’immagine di colui che osserva?
ALCIBIADE: Ciò che dici è vero.
[…]
SOCRATE: Se, dunque, l’occhio vuole vedere se stesso, deve guardare nell’occhio e in quella parte in cui nasce la forza visiva, che è la vista?
ALCIBIADE: È così.
SOCRATE: Ma allora, caro Alcibiade, anche l'anima, se vuole conoscere se stessa, deve guardare nell’anima e soprattutto in quella parte in cui sorge la virtù dell'anima, la sapienza, e in altro a cui questa assomigli?
ALCIBIADE: Mi sembra di sì, Socrate.
SOCRATE: Possiamo, perciò, dire che vi sia una parte dell'anima più divina di quella in cui hanno sede il conoscere e il pensare?
ALCIBIADE: Non è possibile.
SOCRATE: Ebbene, questa parte è simile al dio, e chi la contempla e conosce tutto ciò che è divino, dio e il pensiero, giunge a conoscere anche se stesso il più possibile.
ALCIBIADE: Sembra.
[…]
SOCRATE: Perciò guardando al dio e, tra le cose umane, alla virtù dell’anima, ci serviremo dello specchio più bello, e così potremo vedere e conoscere noi stessi il più possibile.
ALCIBIADE: Sì.

 

Spesso dietro alle frasi brevi e efficaci si nascondono i ragionamenti più profondi, le sensibilità più acute. Ma non ditelo a quelli del Marketing!

 

[1] Primo Levi, Argon, in Il sistema periodico, Einaudi, Torino 2014

[2] Platone, Alcibiade Maggiore, 132d-133c, trad. di Maria Luisa Gatti

Tag  Brand, Ergo Sum, Filosofia, Libri, Payoff, Pensare, Raccontare, Writing
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19 Commenti
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